A me bastava che sedesse. E tacesse.
In quel momento riapparve Andrea, che invitò l’uomo a seguirlo. Ma questi non fece alcuna mossa, limitandosi a bofonchiare qualcosa in un dialetto altro. Andrea non insistette, girò sui tacchi e tornò di là. Poco dopo si mostrò il Comandante in persona ed entrò nella sala d’attesa. Si presentò all’uomo e gli porse la mano. L’omone lo guardò, non accennando minimamente ad alzarsi, e gliela strinse. Con il gomito appoggiato sul fedele compagno.
Mentre i due parlottavano, feci segno ad Andrea di avvicinarsi.
“Chi è il giovanotto?”
“Un pentito di mafia. O come li chiamano oggi, un collaboratore di giustizia.” Il tono della voce tradiva il malcelato disappunto. Lo guardai sbalordito.
“Stai scherzando?”
“No. È qui già da un po’ di tempo.”
“Ahhh… nientemeno! E voi due cicisbei quando pensavate di dirmelo? Mi lasciate la principessina e non mi avvisate? Vi caverei gli occhi – ”
“Non ti scaldare, falchetto!” Andrea ammiccò e mi diede una pacca sulla spalla. “Non è pericoloso.” Così dicendo si voltò e disparve insieme al Comandante.
E io, di nuovo solo. Al mio posto. Gli occhi abbassati sulle carte davanti a me. Con l’onestuomo comodo in sala d’attesa. Che non mi piacque. E non ero per nulla abile, per mia stessa natura, a dissimulare la mia avversione, il mio disgusto, la mia intolleranza. A me bastava che sedesse, a debita distanza, in sala d’attesa. E tacesse.